venerdì 20 novembre 2015

Random#5: coming soonish

20.11.2015
Avvertenze: questo post è davvero molto inutile, non leggerlo, questi tuoi 10 minuti di spare time meritano di meglio.
Non ho molto da dirti oggi, caro lettore, ma sembra proprio la serata perfetta per buttar giù due righe. Stamattina ho composto un microsaggio sul linguaggio dei giovini per la scuola, oggi pomeriggio ho letto una dolcissima memoria di un amico di famiglia dedicata al suo trisnonno (peraltro non l'aveva mai conosciuto) e mentre batto le mie dita su tasti c'è il fragrante profumo della cena che pervade la casa. Non lo so, mi sembra il momento perfetto per scriverti (al netto della musica tremenda di mia sorella a tutto volume che incombe dal bagno).
Credo mi rifugerò nel buon vecchio "random®". È da una vita e mezza che non ne scrivo uno, neh? Ho un po' di paura di riempire lo spazio "Titolo del post" con "Random#5"... L'ultimo che ho scritto ha segnato la fine del mio periodo "Blog stupidissimo", non voglio tornare indietro. "Beh, non scriverlo allora, fai un post serio". Non saprei, caro lettore, sento di doverti parlare, ma non ho una tesi da analizzare quest'oggi. Ci ho pensato, sai? Pensavo di scrivere un "Tutte le cose che odio", ma voglio lasciare questo topic per quando sarò più nervosa. Un "With love, LOH"? Sarebbe il #3 e ne ho scritto uno giusto due mesi fa. Il buon vecchio "random®" invece non si fa vedere da un sacco. Perché? Ho sempre avuto di meglio da dire e il timore di non riuscire a controllarlo e dominarlo. Oggi non ho molto di cui parlare e mi sento abbastanza cresciuta da poterlo gestire, quindi bando alle ciance e diamo a questo post il suo titolo!
Ce ne sono di cose su cui fare un buon "random®". No, basta parlare di Parigi, ché primo non è argomento da "random®", secondo gli ho già dedicato "Geneviève", terzo se n'è già discusso troppo ovunque. Cosa ho scritto sul linguaggio oggi? Sai, caro lettore, non sono molto convinta del titolo che gli ho dato ("Da Figaro a “Figa, Rho!”"... Ho paura che la prof non apprezzerà la creatività), ma comunque credo che un giorno ci scriverò un post sopra: è un argomento complesso e interessante, lo tratterò quando ci sarà occasione di farlo. Qualche giorno fa ho discusso con Winston di un argomento che mi sta molto a cuore: umanistica vs scienza. Lui mi ha fatto tutta una sviolinata su quanto la scienza sia migliore dell'umanistica, perché quella studia la realtà, vera e tangibile, questa un presunto spirito spiegabilissimo anche tramite la prima. Mi è salito lo sterminio di massa tantissimo, perché non ha saputo argomentare niente per niente. Io sono più dell'idea che le due siano complementari: la scienza nasce per rispondere concretamente alle domande di senso dell'umanistica e quest'ultima parla di tutta quella parte trascendentale che quella non riesce a capire. È un discorso secondo me interessante, ma piuttosto lungo, affronterò anche questo in un altro post. Alla fine questo sta diventando un "Coming soonish". Aggiungiamolo al titolo. 
Devo andare a cena. Non so se pubblicare o meno, questo Random#5 è terribile. Alla fine è un "random®", è normale, anzi, doveroso che faccia schifo.
Marcello.
Ciao bello!

lunedì 16 novembre 2015

Geneviève

16.11.2015
Era stata una brutta giornata, pessima davvero. Si era svegliato la mattina presto, alle cinque e mezza, in un letto vuoto, il suo, unico arredo nella stanza minuscola assieme ad un piccolo armadio di legno. Lui era molto disordinato in genere, anche la sua camera sarebbe stata a soqquadro, se ce ne fosse stato lo spazio, ma era troppo piccola per la confusione.
Tutte le mattine la solita storia da una settimana a quella parte: il trillo della sveglia del telefono, gli occhi socchiusi e la consapevolezza che Lei non c’era al suo fianco. L’aveva lasciato dopo l’ennesima sbronza, ma quella volta aveva esagerato: era tornato dopo aver bevuto come una spugna, insieme ad un’altra, si era dimenticato di avere già la donna della sua vita a casa ad aspettarlo. Allo stesso modo, Lei, aveva deciso di dimenticare lui.
Non era il tipo da piangersi addosso, aveva vissuto una vita difficile, conosceva il dolore vero, poteva superare quello di una stupida ferita d’amore. Un letto vuoto non era un buon motivo per non iniziare bene la giornata; nemmeno il giorno sfortunato, venerdì 13, lo era.
Si alzò, andò in bagno a prepararsi: schiuma da barba finita. Poco male, si era rasato due giorni prima, la barba era ancora corta, circolare, correva attorno alla sua bocca.
Uscì di casa senza aver fatto colazione, il giorno prima si era dimenticato di fare la spesa. Meglio così, avrebbe perso meno tempo da dedicare a ciò che faceva ormai tutti i giorni da una settimana a quella parte: cercare lavoro. Con Lei, se n’era andato anche il suo impiego precedente, dato che lavorava come muratore per quello che un giorno, forse, se le cose fossero andate diversamente, sarebbe stato suo suocero.
La ricerca fu vana anche quel giorno. La crisi gli precludeva tante possibilità, lui non aveva studiato tanto da ragazzo, non aveva avuto i mezzi per farlo, in più era di colore e molte aziende seguivano una politica discriminatoria, certo non lo dicevano apertamente, ma tutti sapevano che dietro alcuni “stiamo cercando qualcosa di diverso” si nascondeva un “stiamo cercando qualcuno di bianco”. Si era dimenticato di mangiare a pranzo, così all’ora di cena si precipitò in un fast food con un amico e mangiarono tanto, male, a poco prezzo.
“Sylvestre”
“Eh?”
“L’hai più sentita Geneviève?”
“No”
“È stato venerdì scorso, neh?”
“Il venerdì non è il mio giorno fortunato”
“Mmh... Brutta giornata?”
“Pessima”
“In America venerdì 13 porta sfiga”
“Meno male che siamo a Parigi allora”
“Vive la France”
Dopo cena uscirono a fare un giro e a prendere una birra, una sola, Sylvestre non aveva più molta volta di alcol dall’ultima volta. Inoltre erano di fretta, Lucas, il suo amico, doveva andare a vedere una partita allo stadio, Francia-Germania. Sylvestre lo accompagnò fino allo stadio.
“Mi dispiace lasciarti da solo, mon ami. Stai bene?”
“Tranquillo, ça roule, gira, va tutto bene. Certo, potevi procurarmi un biglietto, stupide! Non credo potrò mai perdonartela”
“Ma finiscila, te l’avevo proposto, due settimane fa! Perchè non hai accettato?”
“Sarei dovuto andare a sentire gli Eagles stasera con Geneviève...”
“Mi dispiace Sylvestre. Lasciala perdere. Ora devo andare”
Si sedette per terra, di nuovo solo, inizió a giocare con lo smartphone. Lui non lo faceva mai, era piú una cosa da Lei. Smise quasi subito e inizió a camminare avanti e indietro, intorno allo Stade de France, terribilmente annoiato. Decise che, forse, un boccale di birra, uno solo, con un amico, avrebbe sollevato la serata. Chiamò Nicolas, ma non rispose: certo, doveva andare anche lui al concerto quella sera insieme a loro e ad Anne Marie, la sua fidanzata. Facevano spesso uscite di coppia, loro quattro.
Si sentì così solo allora, non sapeva piú chi chiamare. I suoi due migliori amici erano entrambi impegnati e lui era lì, fermo, in piedi, irrigidito dal freddo frizzante delle serate di novembre, ad ammirare lo Stade de France che si stagliava imponente di fronte a lui, alle 21.18 di venerdì 13.
Aprì What’sapp, entrò sulla chat di Geneviève: online. Fissò lo schermo per qualche minuto, poi accadde qualcosa. Cosa non lo capiva neppure lui, ma qualcosa stava succedendo. Odore di morte. Sì, morte, non era la classica puzza di bruciato dei petardi, nè quella di fumo dei fumogeni, quello era odore di morte. Rumore di morte. Dove l’aveva giá sentito? Certo, erano spari ed erano tanti, vicinissimi, riusciva a sentirne non solo il boato, ma anche i fischi dei proiettili. Non era la classica rissa da stadio, stava per accadere qualcosa di terribile, l’avrebbero chiamato “l’11 settembre di Parigi” dal giorno successivo. Questo però Sylvestre non lo sapeva. Lui vedeva solo il pericolo. Attorno a lui correvano persone e proiettili. Tutt’intorno il panico. Si mise a correre per inerzia, trasportato dalla folla, ma per paura fece tutt’altro. Per paura non inizió a piangere come un bambino, non cominciò ad urlare come un pazzo.
Le mamme dei cuccioli quando scoppia un incendio, quando percepiscono un pericolo, corrono istintivamente davanti ai loro piccoli, cercano di proteggere la cosa piú cara che hanno difendendola con il loro stesso corpo, con la loro stessa vita.
Per paura Sylvestre chiamò Geneviève.
Proprio in quel momento lo raggiunsero due proiettili. Uno gli sfiorò il ventre, gonfio per tutto l’alcol ingurgitato in vita sua. L’altro mirava alla testa.
L’aveva incontrata 3 anni prima, in rehab. Entrambi avevano impresso nella mente un passato che avrebbe ucciso chiunque, chiunque, ma non loro. Loro erano piú forti della vita e della morte, incontrandosi e amandosi si erano salvati a vicenda. “Ti devo la vita”, capitava si sussurrassero nelle orecchie prima di andare a dormire.
Oggi Sylvestre deve davvero la vita a Geneviève, perchè quel proiettile infranse solo lo schermo di quel telefono con cui la stava chiamando.


mercoledì 28 ottobre 2015

Uno e trino, trittico

28.10.2015
Storia d'un'anima
Non le bastava mai nulla. Non si accontentava mai. Ne era consapevole, ma cercava di giustificarsi, si arrampicava con tutte le sue forze su specchi scivolosi, graffiava i vetri, faceva presa come poteva con le guance umide. Mentre scalava i suoi grattacieli di vetro gridava e piangeva che non era colpa sua, che era nella natura dell'uomo desiderare, volere ciò che non si può ottenere. 
Camminava su una nuvola, ma era nuvola nera, di pioggia, di bufera. A un palmo da terra, ma giusto un palmo, non un millimetro di più, neanche lontanamente vicina a toccare il cielo. 
Amava ed era amata, ma solo perché voleva amare e voleva essere amata, se ne autoconvinceva. Lei meritava caldi abbracci, dolci carezze, focosi baci e li ottenne. Riposava tra le braccia del mare, mani di brezza le sfioravano il volto, lingue di sole le infiammavano il cuore, ma non le bastava mai. Lei desiderava le calde risate di bambino sulle labbra, il gelo pungente della neve montana tra i seni, la saziante dottrina del filosofo nella mente, la ferma certezza dello scoglio e insieme l'eccitante precarietà del terremoto sotto i piedi. 
Eterea, arancione, gialla e rosa, si spostava immateriale con la direzione della corrente, senza la forza di afferrare gli eventi e la sua stessa vita.
Un giorno di primavera stava riposando sotto una quercia carica di ghiande. Le si accostò uno scoiattolo figlio del vento che teneva in mano una pergamena che le avrebbe cambiato quella vita che non sopportava. 
Non la aprì e riprese il suo volo.
Invettiva alla sicurezza
Quelle scoperte che ti rendono felice. A proposito di "L'odio/L'amore.", ieri ho scoperto di odiare le certezze. Detesto loro e quelle persone presuntuose convinte di possederle, convinte di poter parlare a tu per tu col cielo dall'alto della loro torre di mediocrità. Non sopporto quei gretti individui che cercano di nutrirti della loro scienza, i custodi unici di ogni Verità assoluta, come se esistesse o potesse essere conosciuta. Non. Sapete. Nulla. Come ve lo posso spiegare, mie care umane divinità? Ne sapete tanto quanto me ed io non so nulla, fatevela scendere e deprimetevi nella contemplazione della vostra ignoranza. 
"Io so di non sapere", Socrate, V/IV secolo a.C.: perché non ci potete arrivare anche voi, donne e uomini del XXI secolo d.C.? 
Un pensiero censurato
Più pubblico, più mi accorgo della quantità di citazioni che inserisco nei miei scritti. 
Dante nel Paradiso della sua "Divina Commedia" parlava dei nove cieli mobili prima dell'Empireo (sede di Dio e dei beati) come mossi da una musica bellissima, Armonia divina. 
Sai, caro lettore, volevo parlarti di musica, ma riesco a pensare solo parole banali.

martedì 20 ottobre 2015

L'odio/L'amore.

E molti altro troppo, scatti di un viaggio
20.10.2015
Imitatio ed aemulatio. Nella letteratura latina sono concetti abbastanza importanti. Per farla breve: questa nasce come imitazione di quella greca. Basti pensare che il suo inizio si data con le opere di Livio Andronico, traduttore dell'Odissea. 
Imitatio ed aemulatio, imitazione ed emulazione: qual è la differenza? Imitare significa copiare un modello esistente, emulare invece significa prendere spunto dall'originale per eguagliarlo e superarlo o comunque creare qualcosa di nuovo sulla falsariga del vecchio. La letteratura latina si sviluppa su questi due modi di fare arte. Io generalmente preferisco quella greca, tuttavia, in rapporto al mio blog, mi sento un po' come un autore latino: imito/emulo (credo più emulo, ma non vorrei peccare di modestia) continuamente qualcun altro -persone che ammiro e amo in genere, ma questo è un altro discorso-. Spero solo di riuscire a produrre qualcosa di leggibile ed originale...
Tutto questa premessa per dire che oggi non fa eccezione. Imito/emulo Winston e uno dei post sul suo blog. Il titolo è pura imitato ad esempio, "L'odio/L'amore.", tutto suo. Il contenuto però, naturalmente, è mio. 
Odio e Amore. Cosa sono? Mi sembra di tornare indietro nel tempo, indietro a qualche anno fa, al periodo di Ask.fm. Non ero come gli altri, non ero il classico utente "Voti? Aski i mi piace?". Avevo la mia cerchia di intellettual-chic che ponevano e rispondevano a domande su sentimenti, emozioni, attualità... Intellettuale. La mia professoressa di greco e latino, nonché uno dei due modelli della mia vita, presentando Luciano Canfora, il suo idolo, lo ha definito come un intellettuale: "Ma chi è un intellettuale? L'intellettuale è una persona che pensa". Mi ha fatto sorridere quel giorno. Diciamo che se davvero si può ritenere valida l'uguaglianza "intellettuale=persona che pensa", le persone che seguivo e che mi seguivano erano intellettuali. Noi pensavamo, ma non solo, noi comunicavamo. Ask.fm è un sito con un grosso potenziale, potrebbe davvero essere la voce di tanti ragazzi, il megafono di tante opinioni interessanti. Se penso invece a come è usato... Scusa l'inutile parentesi, lettore, tornerò sull'argomento in un altro post credo, è un tema che mi sta parecchio a cuore: probabilmente non esisterebbe LOH's Blog senza il mio periodo Ask.fm.
Odio e Amore. Non puoi immaginare la quantità di volte in cui mi sono soffermata su questa riflessione. Cosa diamine sono, ma prima ancora, esistono? Quanta importanza hanno nella nostra vita? Sono solo sentimenti astratti o qualcosa di più, qualcosa di concreto? Anche adesso che ne parlo questi interrogativi mi sembrano montagne invalicabili. Non hai idea della quantità di pensieri che stanno sfrecciando ora nella mia mente. Cercherò di trovare il filo rosso per esporre un po' decentemente la mia opinione, anche se sai quanto spazio do al flusso di coscienza nel mio blog. 
Dunque, direi di partire dal fatto che in realtà una conclusione questa riflessione non ce l'ha. Proprio oggi stavo riflettendo se fosse possibile o meno giungere ad un punto della vita in cui si possa dire di aver dato risposta alle proprie domande. Naturalmente non ho una risposta nemmeno a questo interrogativo. Pensavo però ai filosofi che studio e al loro pensiero così coerente e pieno di certezze: per Anassimandro l'origine di tutte le cose sta nell'apeiron, punto e a capo. Fermi tutti: mi state dicendo che Anassimandro ha dato una risposta alla domanda "qual è il principio di tutto?"? Se riesci a rispondere ad una domanda così, riesci a rispondere a tutto. Allora a cosa pensi? Davvero potrebbe arrivare per me il giorno in cui avrò tali certezze, in cui crederò di conoscere ogni cosa più o meno conoscibile e non saprò più a cosa pensare? Qualora arrivasse quel momento, scriverò un libro con la mia filosofia. Non perché sarà vera o interessante, ma solo perché non saprei che altro farmene di tutte le mie certezze. A cosa serve avere una filosofia coerente come quella dei grandi pensatori? Sicuramente serve a renderti più sicuro di te stesso e delle scelte che fai: ti dà un criterio da seguire. E poi? È così bello pensare... È così bello cercare risposte, davvero il viaggio è meglio della meta. Ma di nuovo, sto divagando.
Come dicevo di risposte non ne ho (e non ne voglio avere), ma ad oggi se mi chiedessero cos'è Vivere io risponderei Scegliere, per me vivere significa fare delle scelte. Mi sovviene Kirkegaard, un filosofo danese dell'800: non è che mi piaccia particolarmente, fondamentalmente era un uomo depresso perché voleva esserlo, così ha tirato su questa sua filosofia che in parte abbraccio, in parte interpreto come i deliri di un individuo masochista e megalomane. Vi riporto però le parole di Abbagnano-Fonero per spiegare la teoria del filosofo sulla scelta: "Secondo Kirkegaard 'esistere' significa 'scegliere'. La scelta infatti [...] costituisce, o forma, la personalità stessa, che sceglie vivendo, o vive scegliendo. In altri termini, l'individuo non è quel che è, ma quel che sceglie di essere. Tant'è che perfino la rinuncia alla scelta è una scelta, sia pure un tipo di scelta con cui l'uomo rinuncia a farsi valere come io". Ripeto, Kirkegaard non mi piace, ma questo è esattamente il mio pensiero. E permettimi, caro lettore, di aprire l'ennesima minuscola parentesi per commentare la citazione: l'astensionismo. Scegliere di non scegliere significa scegliere di non far valere il proprio io; scegliere di non scegliere nessuno che mi rappresenti non votando è un mio sacrosanto diritto, ma significa che non sto esprimendo il mio essere cittadino, che è un privilegio ancora più grande, e significa che voglio restare al di fuori del mondo politico, ergo rinuncio anche al mio diritto di protestare o lamentarmi in caso non mi soddisfi. De suffragio. Okay, questo post sta affrontando davvero un sacco di temi, aggiungiamo un sottotitolo. Fatto, torniamo sul pezzo.
Ma se vivere è scegliere, qual è il criterio secondo cui prendiamo le nostre decisioni? Per Kirkegaard ad esempio la scelta ci pone davanti ad un bivio, la possibilità-che-sì e la possibilità-che-no, positivi e negativi che, un po' come nell'algebra, si annullano venendo in contatto e che lasciano l'uomo davanti alla possibilità del nulla, nulla che lo porta all'angoscia e più sei angosciato più sei magnanimo. No, non mi piace Kirkegaard, mi sembra che cerchi di fare un vanto delle sue patologie più che dare delle vere risposte. 
La nostra vita è estremamente polare. La realtà in cui viviamo è caratterizzata dal conflitto, è in perenne divenire, muta continuamente come lacerata da forze opposte. Tutto esiste ed esiste il contrario di tutto. Credo che il punto sia proprio in questo: due poli. Due mondi opposti che danno vita alla vita nella loro infinita lotta. Ciò che divide e ciò che unisce. L'Odio e l'Amore.
Secondo me (ad oggi, ripeto, è tutto in divenire) sono Odio e Amore -con la maiuscola non a caso- che ci permettono di prendere le nostre decisioni. La nostra realtà è scandita da tante manifestazioni diverse e minori dei due macroconcetti Odio e Amore. Il male e il bene, la sofferenza e il piacere, l'antipatia e la simpatia, l'astio e l'empatia, l'inimicizia e l'amicizia, il negativo e il positivo, ma anche e soprattutto la morte e la vita. Sono, o meglio, potrebbero essere dal mio modestissimo punto di vista, manifestazioni dei due principi Odio e Amore. Se devo fare una scelta valuto i pro (Amore) e i contro (Odio) e scelgo l'opzione migliore o almeno il male minore, a seconda dei casi. E così le mie scelte derivano dai due principi in questione e, se scegliere è vivere, anche la mia vita è inevitabilmente legata ad essi.
Se dovessi definirli allora direi che Odio e Amore sono i due principi per eccellenza, le due forze grazie alle quali la vita esiste, è il loro perenne conflitto a farci esistere. L'Odio è soffio vitale disgregatore e l'Amore soffio vitale unificatore. "Io odio la guerra": con un'affermazione del genere sottolineo il mio distacco dal concetto "guerra". "Io amo la natura": in questo modo invece evidenzio un legame che percepisco esserci tra me e la natura. Odio è tutto ciò che separa, Amore tutto ciò che avvicina.
Possiamo venire a contatto con l'Odio e l'Amore? Io non penso. "Ma come? Dopo tutto il ragionamento che hai fatto?", ti chiederai confuso, caro lettore. Tutto si fonda sull'Odio e l'Amore, ogni cosa ne contiene la scintilla vitale, ma non sono che manifestazioni, rappresentazioni, fenomeni di un concetto primario insondabile. Noi odiamo, amiamo, ma solo un essere infinito e perfetto potrebbe Odiare e Amare.
La verità? La verità, caro lettore, è che non lo so. Non so cosa sia vivere, non so cosa sia scegliere, non so cosa sia l'amore e non so cosa sia l'odio. You know nothing Jon Snow... La verità è che penso tanto e che il mio secondo nome è confusione, somma i due fattori ed ecco il prodotto bell'e fatto, un post sconclusionato pieno di troppo. Ecco, cambiamo il sottotitolo: da "E molti altri temi" a "E molto altro troppo". 
Caro lettore, ti prego, non prendere troppo sul serio questi miei vaneggiamenti. Cerchiamo di scrivere una conclusione un minimo coerente, così che un minimo tu possa comprendere il mio pensiero. 
Sono confusa, ma amo pensare e più penso, più mi confondo. È fastidioso, tanto, ma meglio così che essere pieni di certezze. Le certezze lasciamole a Dio. Io vivo bene nel mio viver male, nella mia imperfezione che mi preclude la meta, ma mi concede il viaggio. Alcune foto del mio le trovate in questo post, ma sono sfocate, poco nitide. Foto di imitatio ed aemulatio, foto di intellettuali, foto di incertezze, foto di scelte, foto di voto, foto di poli, foto di separazione e foto di unione. Ecco, modifico nuovamente il sottotitolo: "E molto altro troppo, scatti di un viaggio". LOH's Blog è questo dopotutto: un album di fotografie. Sono felice di condividerle con te, spero ti piacciano.
Mai più di oggi, con amore
LOH

domenica 11 ottobre 2015

A Winston

11.10.2015
Ho scoperto di avere Rachmaninoff su iTunes. Il mio pc era di mio zio, così qualcosa di suo è rimasto, tra cui i concerti per pianoforte e orchestra 2 e 3. Caro lettore, se mi segui dall'inizio sai come io non abbia intenzione di parlare di me sul blog, tuttavia cerca di capirmi se questa inattesa scoperta musicale risuoni nelle mie orecchie come un segno del destino. Ho acceso il portatile con l'intenzione di scrivere un post, cerco della musica classica per farmi compagnia e trovo quella che adora Winston (si veda l'ultimo post, "Ragione o istinto?", avevo già accennato qualcosa su di lui); è ormai praticamente un mese che provo a trattenermi e a non scrivere nulla che lo, che ci riguardi, ma a questo punto è d'obbligo. È l'Europa che lo chiede, anzi, Rachmaninoff. Certe volte dovrei decisamente risparmiarmele queste battute che non fanno ridere nessuno, ma capiscimi, passo i miei sabati sera a discorre di politica e filosofia, sono una persona noiosa, mi basta poco. 
Ma torniamo sul pezzo. Winston. No, non voglio parlarne apertamente; proverò a scrivere qualcosa, qualsiasi cosa si voglia imprimere sulla pagina pensando a lui. Iniziamo col titolo.

A Winston

So-Ham. Io sono Lui. È un mantra molto importante nella meditazione. La recita di questo ci rende consapevoli dell'identificazione dell'individuo con la Divinità, della nostra essenza divina. Io sono Lui. Io sono. Cosa sono io? Io sono una lacrima, piacere, salve a tutti. Però, che pubblico vasto, non ne sono abituata. Di solito l'effimera vita di noi lacrime di LOH non incontra mai nessuno. Nasce tra le sue ciglia e muore sotto la mandibola. Durante la discesa lungo le sue guance, non vede mai davanti a sé molta gente, come capita ad altre mie amiche lacrime che nascono tra le ciglia d'altri. Loro, arroganti e megalomani, cercano pubblico, cercano applausi, cercano carezze, cercano compassione. Non io. Io preferisco una vita appartata, lontana dai riflettori, breve e tranquilla. È una scelta che facciamo in molte, che facciamo tutte, qui da LOH. Prima di nascere abbiamo dimora qui, in questa ghiandola da cui vi scrivo, è un po' la calda placenta di tutte noi. Non è male stare qui, soprattutto ultimamente, ma va a periodi. A volte vengono concepite lacrime con una smania di vivere incredibile che si catapultano giù verso gli zigomi alla prima occasione, giustificata o meno che sia. Di lacrime così ne nascono spesso, ne ho conosciute due o tre che si sono buttate per festeggiare la vittoria di due pattinatori sul ghiaccio: "Ma guardali, guardali! Sembrano così felici! Dobbiamo correre a festeggiare con loro, dobbiamo!" gridavano. Ho cercato di dissuaderle, ma non capivano che "correre a festeggiare con loro" significava anche morire così in fretta! In questa categoria ci sono tante lacrime diverse. Quelle di cui vi ho parlato ad esempio sono lacrime-di-gioia, sono piuttosto stupide, è risaputo, ma sono anche allegre e gentili. Le più frequenti del gruppo sono però le lacrime-random, quelle che proprio non hanno la più pallida idea del motivo per cui scendono: oh, sono così comuni tra le ragazze! Altre volte viene il turno di compagne più maliziose e astute. Devo ammetterlo, loro sanno come divertirsi. Giocano con la necessitá di piangere di LOH. Capita che lei senta il bisogno di sfogare della tristezza o della rabbia repressa e desideri piangere. Loro allora si aggrappano forte a tutto ciò che trovano di saldo sotto mano, si reggono a vicenda e si divertono a vincere l'impulso nervoso che le chiama a gran voce e prova a scaraventarle giù dalle palpebre con la forza. In altri casi invece si lanciano nei momenti meno opportuni, ridendo a crepapelle di quella loro genitrice che, imbarazzata, tenta di nasconderle. Anche loro sono molte, ne nascono spessissimo di questo genere. Ci sono poi periodi in cui nascono lacrime-suicide. Sono i periodi peggiori per nascere. Alla ghiandola arrivano continui impulsi nervosi, c'è sempre un triste motivo per lasciarsi cadere. Sono lacrime buone, ma tanto grigie. Cercano di infondere pace con il loro tiepido calore e il loro sapore salato, ma scorrono tremolanti sulle guance, alcune lente perché troppo stanche, altre celeri perché desiderose di mettere fine alla loro vita votata alla tristezza. Sono lacrime buone dicevo, ma anche molto invidiose. Mentre scivolano pensano a compagne lacrime-di-gioia con disprezzo, o ad altre lacrime-suicide che si lasciano cadere per stupidi motivi, "non seri come i nostri". 
Di che categoria faccio parte io? Oh, la mia è razza rara, rarissima. Io sono di quelle che non cade. È un periodo felice qui nella ghiandola, nelle ultime tre settimane abbiamo avuto visite dagli impulsi solo due volte. Io sono di quelle che non cade, almeno per ora. Mi piace troppo stare qui: la temperatura è confortevole, la compagnia calda, le attività piacevoli. Cosa facciamo? Riflettiamo, moltissimo, siamo lacrime-meditative, e seguiamo la vita di LOH affacciandoci sul suo mondo; è un po' come guardare un film, bellissimo tra l'altro. Sapete, non diteglielo, ma un po' la invidio: quel meraviglioso film che io ho la possibilità di seguire e che mi allieta la giornata, è la sua vita. Quando toccherà a me di vivere la mia, durerà solo qualche secondo e vedrà poco nulla del mondo circostante. La sua invece è lunga e piena. Certo le capita di passare momenti orribili davvero e la sua esperienza nel complesso è sicuramente più triste di quella di molti altri suoi simili. Ma se la poteste vedere adesso, ha conosciuto la serenità, la gioia, l'amore... 
Scusate la pausa, avevano bussato alla porta. Sì, era un impulso, ma non di pianto stranamente. È arrivato un monito dal cervello, non posso dire di più, sto parlando troppo. 
È il caso di lasciarvi. È stato bello parlare con voi, amici virtuali, grazie per l'attenzione che mi avete dedicato, grazie per esservi preoccupati della sorte di noi povere lacrime. A meno che un impulso non bussi alla mia porta e mi obblighi ad abbandonare questa calda placenta, vi scriverò ancora per raccontarvi della nostra vita. Sapete, non siamo molto considerate. Stiamo qui, nascoste nella nostra ghiandola e nessuno pensa a noi. Poi spuntiamo, più o meno timidamente a seconda dei casi, e bruciamo la nostra esistenza così in fretta da essere dimenticate velocemente. Le più temerarie lasciano un alone umidiccio sulla carta nel vano tentativo di non cadere nell'oblio dopo la loro morte. Non abbiamo nome né identità, così risulta difficile per gli esseri umani riconoscerci nella nostra individualità. È molto triste. Oltretutto noi lacrime non abbiamo lacrime per piangere e subiamo in silenzio il nostro destino. Ma non fraintendetemi, non voglio lamentarmi, anzi. Non c'è periodo migliore del mio per essere concepite, ve l'ho detto, il clima nella ghiandola è il migliore possibile e il film proposto è uno dei più belli. Vorrei davvero poteste vederlo. E spero, spero tanto che duri il più a lungo possibile.

domenica 27 settembre 2015

Ragione o Istinto?

27.09.2015
*Ho tanta voglia di scriverti qualcosa, caro lettore. Argomento? Riflessione (tanto per cambiare). Mi chiedo se sia poi così giusto seguire tanto il semplice corso dei miei pensieri, a briglia sciolta e senza pensare a quello che potrebbe interessare a te. Cerco di giustificarmi ripetendomi che uso LOH's per me stessa e non per piacerti, ma la cosa mi disgusta anche di più: ho davvero un tale bisogno di postarmi? Una tale necessità di inviare nell'etere una foto del mio cervello? Sí, la triste risposta è sì. Spero che le mie pagine ti piacciano, caro lettore, ma il primo fine per cui scrivo qui, è scrivere.
*Ecco un buon argomento, caro lettore: ragione o istinto? Le mie ultime 3 settimane sono state ossessionate da questa domanda, per prendere le decisioni che ho preso ultimamente mi sono ritrovata ancora e ancora davanti a questo bivio. Ragione o istinto, caro lettore? No, non farò il banalissimo discorso "il mio cervello fa a pugni col mio cuore icsdí icsdí", assolutamente no, anche perché non c'entra un bel nulla. Istinto non è sempre sinonimo di sentimento. Trovo piuttosto che il dilemma "ragione o istinto" nasca dal sentimento. Mi spiego: cos'è che turba l'essere umano più delle emozioni? Cos'è che porta a fare decisioni più del sentimento? Il cuore, che nell'immaginario comune è in rissa perenne col cervello, in questo mio ragionamento é più movente che assassino.
Fatta questa premessa, cerchiamo di rispondere a questa eterna domanda che forse risposta (corretta) non ce l'ha. Ragione dovrebbe essere la nostra staffa, la nostra briglia e il nostro morso; Ragione dovrebbe guidarci, dovrebbe essere il nostro navigatore, il nostro TOMTOM, gratuito oltretutto, verso la strada giusta. Ma è proprio qui l'inghippo: chi la vuole la strada giusta se Istinto ti può dare la strada che vuoi? Quella che sembra sempre illuminata da una scintillante luce azzurrina, non necessariamente la più semplice, ma la più inviante. Poche storie, è la via che desideri percorrere. Ma cosa fare se la voce meccanica di Ragione e la luce suadente di Istinto non indicano la stessa direzione? 
Caro lettore, qual è la tua risposta? Io, come una brava giornalista, ho fatto la mia piccola inchiesta. Quattro sono gli intervistati, Don, Winston, Limo e Dada. Sì, pseudonimi una volta di più, orribili una volta di più. 
Don ha scelto l'istinto. Ha iniziato ad argomentare citando il suo idolo, Steve Jobs, nel discorso del 2005 a Standford. "Dovete trovare quel che amate", "Continuate a cercare finché non lo trovate, non vi accontentate", "Se vivrai ogni giorno come se fosse l'ultimo, sicuramente una volta avrai ragione", "Siete già nudi. Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore", "Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro", "Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno cosa volete realmente diventare", "Stay hungry, stay foolish". Don si preoccupa anche tanto -troppo- di quello che pensano gli altri di lui, così dopo ogni scelta che prende impulsivamente si chiede come possano averla giudicata gli altri, ma, nonostante ciò, continua a seguire il suo istinto. Niente rimpianti. "Siete già nudi. Non c'è ragione per non seguire il vostro cuore".
Winston e Limo sono del partito opposto. Sono uomini razionali. Winston grazie alla razionalità e all'autocontrollo è riuscito a superare situazioni a cui io non sarei riuscita a sopravvivere, letteralmente. Limo usa la ragione alla moda illuminista, come unico possibile criterio della realtà che ci circonda.
Dada è più moderata: "Dipende dalle situazioni", mi risponde. Bisogna seguire la via che ci fa stare meglio per l'arco di tempo maggiore, che sia quella della ragione o quella dell'istinto.
Ed io? Io sono una persona molto riflessiva, pensare è il mio hobby preferito, lo faccio tanto e per tutto. Quando devo prendere una decisione analizzo tutto nei minimi dettagli. A volte giungo anche alla risposta alle mie domande, trovo la decisione giusta da prendere. Poi, puntualmente, non la prendo e scelgo quella meravigliosa luce azzurrina, capace di farmi un gran male a lungo termine, ma che sul momento... Sul momento mi dona la vita. Mi detesto per questo, davvero. Ore, giorni a pensare e pensare, a scervellarmi, a spremere le meningi sino all'ultima goccia, capire la cosa giusta da fare e poi mandare tutto all'aria. Però devo ammetterlo, caro lettore: non ho nemmeno un quarto di rimpianto...
Ti lascio col dilemma e una citazione dal buon vecchio Socrate: "Chi conosce il bene allora è obbligatoriamente portato a fare il bene"... È poi così vero?

sabato 12 settembre 2015

Marcia di uomini e donne scalzi

12.09.2015
Coi piedi per terra, scopri la temperatura del terreno. Coi piedi per terra, l'asfalto è pungente. Coi piedi per terra, i san pietrini sono più fastidiosi che coi tacchi. Coi piedi per terra, devi schivare mozziconi e macchie non ben identificate. Coi piedi per terra, le piante si induriscono. Coi piedi per terra, ti sporchi. Coi piedi per terra, siamo tutti talloni. Coi piedi per terra, l'umanità si divide in "con le calze" e "senza le calze". Coi piedi per terra, siamo tutti uguali. Coi piedi per terra, torniamo indietro nel tempo. Coi piedi per terra in un mondo di "con le scarpe per terra", sei diverso. 

With love, LOH #2... anni

12.09.2015
Ieri avrei voluto scrivere un post. Non ho avuto il tempo di farlo, cosí oggi ne pubblico due. 

Caro lettore, 
Questa è la seconda lettera che ti mando. Sai, sono due anni che tengo il LOH's blog. Tempus fugit... Ieri ho incontrato una maestra delle elementari, Elisabetta. Mi insegnava inglese, avevamo un libro verde con dei folletti, si chiamava "threequalcosa". Era in centro con due dei suoi tre figli, i due maschietti. Quando andavo alle elementari Elisabetta era andata in maternità. Ieri ho scoperto che era per dare alla luce quello più grande. Mi è venuto un colpo. Davvero un bel ragazzino, tra l'altro, ma troppo, troppo grande. Come puó essere passato tanto tempo? "Sei diventata proprio grande LOH, una bellissima ragazza. Da piccolina eri cosí seriosa...". 
E sono passati 2 anni anche per noi. Era l'11 Settembre 2013 quando ho scritto il mio primo post, il primo "Random". Oggi è il 12 Settembre 2015. Cosa hai fatto in questi 2 anni, caro lettore? Parlare con te è un po' come pregare. Per credere che tu esista davvero al di là di un qualche schermo, ci vuole un grande atto di fede e, in ogni caso, rimango sempre senza risposta. 
In questi due anni non ho quasi mai trovato qualcosa di cui Parlare. Nulla di davvero interessante. Sono soddisfatta di giusto un paio di post. La tentazione di eliminarli tutti è sempre molto forte, ma sarebbe come rinnegare una parte di me. Una volta il mio regista ci ha detto: "Più cercate di nascondere il lato di voi che odiate, più vi agitate. Più vi agitate, più questo esce preponderante. Quando invece lo accettate, questo scompare quasi da solo". Spero che anche tu possa accettare questo mio aspetto. 
50 sfumature di LOH. Qualcuna l'hai davvero vista. In due anni, d'altronde è inevitabile. Tuttavia hai visto davvero poco, sai davvero poco di me. Sai, in greco c'è un verbo che è orào e che significa vedere; a quello che è il nostro passato prossimo peró prende il significato di sapere: ho visto quindi so. Adoro il verbo orào. È difficilissimo, ha un paradigma complicatissimo, ma è il mio verbo proferito. Si puó avere un verbo preferito? A quanto pare...
Hai visto -e quindi sai- davvero poco di me. Va bene cosí peró. Ho creato questo blog due anni fa più che altro per me, per passare il tempo, per sfogarmi, per sentirmi un po' più simile a quello che avrei voluto essere, non per parlarti di me. "Perché la noia mi porta all'autodistruzione", avevo scritto nella descrizione inizialmente, manco fossi autolesionista... 
Caro lettore, sto di nuovo lasciando andare la briglia e parlando per flusso di coscienza. Forse dovrei dare una conclusione a questa lettera confusa... 
Ti ho scritto per ricordarti come il tempo passi veloce e per dirti di quanto sia contenta di condividerlo anche con te. Brindiamo a questi due anni. Brindiamo a tutto ció che ha inizio e a tutto ció che ha fine. Brindiamo alle mani che si stringono. Brindiamo alle dita che si intrecciano. Brindiamo ai baci che schioccano. Brindiamo al sole che splende. Brindiamo al mare che riluce. Brindiamo alle strade affollate e a quelle deserte. Brindiamo al sentimento. Brindiamo alla musica alta. Brindiamo ai libri tascabili. Brindiamo alle labbra che si schiudono in sorrisi. Brindiamo alle menti che si aprono a nuovi orizzonti e ai nuovi orizzonti che si lasciano scorgere da menti aperte. Brindiamo a chi lotta perchè è convinto che la vita sia conflitto. Brindiamo agli abbracci lunghi e stretti. Brindiamo a chi nell'uomo crede ancora. Brindiamo al castello di Miasino. Brindiamo al passato che ritorna. Brindiamo al presente che non esiste. Brindiamo al futuro che ancora deve arrivare. Brindiamo ad Orwell e Pirandello. Brindiamo ai nostri calici, vuoti di bollicine, ma pieni di parole. Da due anni ormai. 
With love

LOH

venerdì 27 febbraio 2015

Violoncellista

27.02.2015
Quelle corde vibrano come i palpiti del mio cuore. Ma cosa mi succede? Lei é solo un’amica, la mia migliore amica.
Ci conosciamo da quando ho memoria, siamo compagni di vita da sempre. Lei é sempre stata l’unica che riuscisse a farsi preferire ad un buon libro. Lei é sempre stata il motivo per cui non sono stato mai solo. Lei conosce ogni piega della mia anima, ogni anfratto del mio cuore, ogni angolo oscuro del mio spirito. Lei é parte di me, piú di una sorella, la mia gemella. Ma non la mia anima gemella. Eppure ora, mentre suona, provo qualcosa che non ho mai provato. É sempre la stessa, sono sempre le stesso, cosa é diverso? Magari sono solo condizionato dalla sua musica. La sua dolce, flessuosa, sexy musica. Con mano di madre accompagna l’archetto di crine sulle corde tese dello strumento. Avanti e indietro, come una nave mossa da un lieve vento su un calmo mare. Improvvisamente vorrei stringere quella mano. Lei ha dita lunghe, affusolate, con le unghie tagliate corte, le mani perfette per una brava violoncellista. Quelle mani... Perché ora le desidero cosí tanto tra le mie? Perché ora le desidero cosí tanto sul mio viso, sul mio collo, sul mio petto... Me le immagino addosso, sul mio corpo, ovunque... Dio, perché questi pensieri, che cosa dico, che cosa bramo? É solo un’amica!
La musica cambia, cambia il registro. Lei sorride, ha superato un passaggio difficile e oltretutto ora il ritmo é piú allegro. Le note sembrano raccontare di una festa in paese. La invito a ballare, ride, abbassa lo sguardo, rifiuta, insisto, accetta. Avanziamo tra le coppie che giá saltellano sorridenti nella piazza. Siamo al centro. Ci teniamo per le mani, le dita intecciate, gli occhi bassi per controllare i passi, le labbra dischiuse in riso. Prendiamo piú confidenza con la danza, ora ci guardiamo negli occhi. Oggi si é truccata, non lo fa mai. Con un velo di rimmel i suoi occhi sembrano differenti, piú grandi, piú belli. La musica sembra rallentare, mi avvicino a lei, ora ci stringiamo le spalle. “Siamo piú vicini, ci fissiamo, ma continuiamo a ridere e a saltare come semplici amici”. Mi accorgo di averlo detto a voce alta e addirittura con un filo di rammarico: che stupido, devo aver rovinato tutto! Smette di sorridere e di ballare. Abbozzo una scusa, ma non risulto molto convincente. Inaspettatamente, invece di ritrarsi imbarazzata, si avvicina suadente e mi circonda il collo con le dita ed io faccio lo stesso intorno alla sua vita. I miei occhi si posano sulle sue labbra. Nero.
Torno alla realtá, ora la musica é piú forte e spigolosa. Sessanta secondi e finirá di suonare. Prego qualsiasi cosa ci governi e ci guidi che sia stata tutta una stupida fantasia guidata dalle dolci note. Sono sempre stato molto emotivo d’altronde e che lei sia una fata del violoncello é risaputo. Tutta la sua sensibilitá entra nello strumento ed esce da questo sottoforma di soavi armonie. E poi é cosí divertente, cosí intelligente...
Il pezzo é finito. Appoggia il violoncello, posa l’archetto sulla sedia, si alza, si inchina e accoglie umilmente i mille applausi. Sorride, ma quando il suo sguardo incrocia il mio mi sembra che la sua risata si apra un po’ di piú. Rimango a bocca aperta come un pesce. Chiudi quella bocca! Non ci riesco. Quella gonna nera fino al ginocchio le sta magnificamente. Non l’avevo mai vista bella, non é bella, almeno non fuori. Ma allora perché non riesco a distogliere lo sguardo dalle sue gambe? La musica é finita, ma il mio cuore continua a battere piú veloce del normale, le mani sudano, gli occhi sono pieni di lacrime.

É solo un effetto della musica, mi passerá, domattina staró meglio...

EPILOGO: LA STORIA NELLA STORIA
Ieri avevo un sacco voglia di scrivere, allora ho chiesto a mia sorella di darmi alcune tracce (fa le medie). Me ne ha proposte 4, una più brutta dell'altra, e ho scelto la 2: "Paragona la musica ad un fatto accaduto, storico o personale". Sorvoliamo sulla forma. Ad ogni modo mi é venuto in mente un ragazzo che da poco é entrato nella mia vita, un amico profondamente lacerato internamente per diversi motivi, che in un periodo della sua vita é stato innamorato della sua migliore amica, una violoncellista nonché persona meravigliosa, la conosco personalmente, é la mia compagna di banco. Non so se tutto ciò sia realmente accaduto, mi piace pensare sia andata così però.

lunedì 16 febbraio 2015

Note, ovvero un post inutile

16.02.2015
Se a Febbraio non fa brutto cresce erba dappertutto.
A Dicembre fai legna e dormi.
Perché? Io sono già fuggito abbastanza. Finalmente ho trovato una persona che sento di dover proteggere: sei tu.
Da grande voglio fare lo sbandieratore. Coordinazione. Insieme. Condivisione. Totale. Banda. Mano. Segnale. Comprensione. Forza. La cosa più difficile non é riuscire, ma riprendere.
Autisti di autobus che si incrociano e si salutano.

martedì 13 gennaio 2015

Thinking out loud: social

13.01.2015
A volte mi capita di vedere "Diario di una nerd superstar". Sono dell'idea che se hai bisogno di scrivere un diario te ne compri uno cartaceo e lo tieni chiuso in un cassetto, se proprio vuoi battere a macchina usi una candida e segreta pagina word. Tuttavia ultimamente mi rendo conto del mio strano rapporto con internet ed in particolare coi social. Navigo raramente in rete, non ho neanche uno smartphone, niente what's app, niente instantgram, giusto Facebook per non restare fuori da mondo che apro una volta alla settimana e questo blog. Nonostante ciò, quel "A cosa stai pensando?" risulta tremendamente invitante. 
"A cosa stai pensando? So che c'è qualcosa che hai dentro che vorresti esternare, so che oggi hai fatto una particolare riflessione, so che sei entusiasta della tua giornata, so che sei particolarmente triste... Non avere paura, fidati, apriti: a me importa!".
Non conosciamo più la riservatezza e credo che sia perché abbiamo sempre più bisogno degli altri. Noi abbiamo bisogno di illuderci che alle persone importi davvero e quindi respiriamo in funzione dei "Mi piace".
"Sai, ti ho ascoltato e mi trovo totalmente d'accordo con te, ti sono vicino, mi hai fatto sorridere, mi piace questo contenuto, mi piaci tu".
Accettazione. Abbiamo bisogno di sentirci amati e accettati, non bastiamo a noi stessi e abbiamo paura anche solo a provarci. Un mio amico ritiene la misantropia la massima aspirazione nella vita, la vede come la capacità di stare soli, di essere autonomi di evitare l'altro. 
Faccio spesso questo ragionamento. Tutte le volte arrivo alla fine con le idee ben chiare, tutto in ordine davanti ai miei occhi, tutto tranne un minuscolo particolare: ma se io non sono e non voglio essere così, se io non ho bisogno dei "Mi piace", se io so che in realtà non c'é nessuno dall'altra parte dello schermo a cui importi cosa sto pensando... Perché desidero ancora postare? E allora mi rispondo: "Non mi interessa essere apprezzata o accettata dai molti, non mi interessa gridare così la mia opinione; desidero però che determinate persone leggano determinati pensieri". 
Uno dei motivi della nostra dipendenza da social é che non siamo più in grado di comunicare altrimenti, abbiamo paura di comunicare diversamente. 
Comunicazione. Possibile che nell'era della comunicazione ciò che ci manca sia la capacità e il coraggio di comunicare? Forse é colpa mia, forse partendo dalla mia sola esperienza non ho le basi per supportare questa tesi, sicuramente é così... Eppure...
"Stati frecciatina". Chiamasi "Stati frecciatina" tutti quei post pubblicati per colpire semivelatamente qualcuno. Entro su Facebook e inoltro il primo che trovo: "Il suo sorriso, quel piercing che si vede.. A me detto sinceramente mi fai impazzire, perché quando sorride lei sorrido anch'io". Sorvoliamo sull'italiano... Mettiamo che questo ragazzo non abbia scritto tutto ciò per far vedere al mondo che uomo modello romantico e sensibile che é: perché? Perché se non per necessità, ma incapacità di comunicare con la ragazza dal "piercing che si vede"?
E allora come fuggire da questa dipendenza da social? Prima possibilità: rendiamo reale questa falsa comunicazione virtuale. Seconda possibilità: impariamo a bastare a noi stessi, così da essere in grado di respirare sia tra gli amici che in solitudine.