giovedì 17 novembre 2016

Capitolo 1: Voler bene

17.11.2016
Qualcuno sa dirmi cos'è l'amore? In questo momento avrei davvero bisogno di saperlo. Attenzione, non parlo dell'"Amore": su quello, lo sapete, ho una mia teoria. Io parlo del semplice amore, delle false-copie del concetto più grande, di come si declinano e soprattutto come si riconoscono. 
Credo di aver amato una sola volta nella mia vita e per di più l'unica persona a cui non ho mai detto "ti amo". Che problemi mentali ho, caro lettore? Davvero, senza fare troppi complimenti, spiegami quali turbe, a parer tuo, mi affliggono, ma soprattutto cos'è l'amore. Ho davvero bisogno di saperlo in questo momento. Per cercare di capirne di più, ho deciso di scrivere un post a riguardo, così da penetrare nell'argomento assieme a te ed uscirne arricchiti.
Cerchiamo di individuare e definire tutte le varie declinazioni di Amore possibili. Naturalmente me ne perderò qualcuna per strada, anche qui chiedo il tuo aiuto, correggimi e completami quando vuoi.
Ndr. Si parlerà solo di sentimenti sinceri e tra esseri umani. Sono le 23.50 e se iniziassi a parlare di ciò che provi per il tuo canarino Titti, caro lettore, non finirei mai.

1) Voler bene
In italiano non abbiamo molti modi per esprimere i nostri sentimenti, nel greco antico, per esempio erano molti di più. Uno di questi è il classico "Ti voglio bene": ma da che cosa deriva questa espressione? In latino potremmo tradurla con "Bene vellere", che in realtà ha un significato molto più importante di quello che gli attribuiamo noi moderni: in Catullo (sì, è un autore che mi piace abbastanza  come avrai capito), per esempio, ha un valore anche più forte di "Amare". Guarda, caro lettore, che voler davvero bene ad una persona è un'attività difficilissima, significa sacrificarsi per permettere al destinatario della nostra emozione di raggiungere il suo benessere, desiderare che lui o lei sia felice, annullando quasi completamente qualsiasi fine egoistico. Capirai anche tu che è un concetto molto ampio e profondo, sarebbero necessari altri termini per definire meglio le varie tipologie di "voler bene", termini che, ahimè, non esistono. Proverò comunque a creare dei sottogruppi per l'occasione.
- In famiglia. Anche qui potrei creare ventordici diverse categorie. C'è il "Ti voglio bene" di abitudine e facciata che si dice a Natale allo zio che non vedi mai, se non quella volta che viene a finire tutto lo zabaione a casa tua, non lo odi, per carità, ma provi per lui quel blando sentimento che la consanguineità impone. C'è il "Ti voglio bene" di una madre ad un figlio, quello di un padre ad un figlio, quello del figlio ai genitori, di entità diversa, decisamente più profonda. Come differente è l'intensità di un "Ti voglio bene" tra fratelli e altra ancora quella tra parenti più lontani di quelli della cerchia familiare, ma più vicini dello zio beota.
- Tra conoscenti. Cosa dire ad una persona non particolarmente cara con cui hai passato una bella giornata o una serata divertente? E cosa provi per un compagno di classe abbastanza simpatico? E se Giovanni, il tuo collega tanto disponibile, ti coprisse nel turno serale di stasera, che cosa gli diresti? Sarebbe utile un'espressione diversa da "Ti voglio bene" per esprimere questo tipo di legame.
- Tra amici. Prima o poi farò un post sull'amicizia, è davvero un argomento molto vasto e trattarlo in questa breve didascalia mi sembrerebbe riduttivo. Definiamola per ora come l'insieme di quelle pochissime persone su cui potrai sempre contare e per cui ti faresti in quattro in qualsiasi momento, quelle con cui ti racconti anche se sei introverso o quelle con cui metti da parte la tua logorroicità (questa parola non esiste... credo) per ascoltarle se sei estroverso. Anche per loro basta il "Ti voglio bene" che hai usato giovedì con la compagnia di calcetto? Ci vorrebbe qualcosa di più, di diverso, che, naturalmente, non c'è.
- In un rapporto sentimentale. Non sapevo se aggiungere questa sottocategoria, ma sento di doverlo fare. "Ma come, LOH, se stai con una persona, perché non dirle 'ti amo'?". Spè. Diresti mai "Ti amo" alla tua scopamica? Avresti il coraggio di dirlo alla persona di cui sei innamorato, ma non corrisposto? Oseresti le due magiche parole con la ragazza con cui ti stai giusto frequentando o che hai baciato per la prima volta solo ieri? Parlo come se fossi un uomo, caro lettore, ma lo stesso vale per le pulzelle. La tua risposta immagino sia no. Questo è il campo in cui più si sente la mancanza delle parole adatte per parlare di quel sentimento che ancora non è amore, ma ha superato da un po' la soglia dell'amicizia. Affronteremo questo punto più nello specifico nei prossimi capitoli.

Avrei almeno altri tre titoli oltre a "Voler bene" da affrontare, ma si è fatto molto tardi e sono stanca. Potrei salvare tutto nelle bozze, ma ne ho già cinque pendenti e questa riflessione vorrei condividerla subito con te.
To be continued.
Buonanotte.
LOH

domenica 18 settembre 2016

If time is all I have #2

18.09.2016
Sono due mesi che non posto nulla. Non che sia un grosso problema, "da grandi poteri derivano grandi responsabilità", ma da pochi lettori, grandi libertà. Sono passati settantasette giorni e con loro mille avvenimenti. Posso trascurare il mio blog per un sacco di tempo, ma quest'ultimo non trascurerà mai me: continuerà a scivolarmi tra le dita come l'acqua e a graffiarmi la pelle come una bestia. Oggi il tempo mi fa paura, così esorcizzo il mio timore scrivendo. 
Ti sarà certamente capitato di lasciarti sopraffare dai ricordi dopo aver ascoltato una canzone particolare o aver sentito un certo profumo: a me è capitato oggi nel leggere "diciotto settembre duemilasedici". Tre anni fa, il diciotto settembre duemilatredici, scrivevo "Zero", la prefazione di una rubrica mai più cominciata su questo blog: un articolo scritto malissimo, ancora del mio periodo brutto sul LOH's. Una settimana prima avevo aperto questo stesso blog, piena di noia e di voglia di emulare qualcuno che non riuscirò mai a raggiungere. Iniziava per me un anno scolastico pesantissimo, che avrebbe messo a dura prova i miei nervi. Cercavo l'amore e me stessa con tutto il mio cuore. Due anni fa, il diciotto settembre duemilaquattordici, uscivo da un'estate dolce-amara per entrare in un anno scolastico anche peggiore del precedente, che però avrebbe portato nella mia vita una persona che quella stessa vita l'avrebbe sconvolta, nel bene e nel male: familiari esclusi, è stata la figura più importante per me fino ad ora e le devo molto, mi ha insegnato cos'è l'amore. Un anno fa, il diciotto settembre duemilaquindici, a quest'ora, stavo tornando a casa dopo una giornata davvero importante. In quell'estate avevo perso la persona di cui sopra, ma ne avevo trovata anche una nuova, il ventisette agosto per la precisione, che credevo potesse sostituirla. Il diciotto settembre duemilaquindici ero convinta di aver ritrovato l'amore tra le braccia di questo nuovo spirito. Il problema era che, ancora non lo sapevo, il mio amore non si era affatto perduto, era rimasto sempre là dove l'avevo trovato, in due grandi occhi azzurri, gli occhi che avevo perso, che avrei ritrovato uno o due mesi dopo e riperso, per sempre forse, nel febbraio duemilasedici. Oggi, diciotto settembre duemilasedici, ho concluso nove giorni passati con una persona che mi ama come io ho amato una sola volta in vita mia e tra quindici giorni comincerò l'università. Se dicessi alla LOH di tre anni fa come sono cambiate le cose e chi sono diventata io, non mi crederebbe. Se scrivessi a quella LOH che la persona che stava cercando di dimenticare ora sta cercando di dimenticare lei, che tutti quegli attimi rosa che per anni aveva agognato sarebbero arrivati di lì a poco e a decine, che tutto ciò che conosceva si sarebbe d'improvviso capovolto, probabilmente resterebbe a bocca aperta e con gli occhi lucidi a fissare la lettera arrivata dal futuro. Presto le scriverò questa lettera, ne riparleremo.
Come se non bastasse, oggi ho ritrovato un vecchio album delle elementari in cui avevo scritto una summa di quei cinque anni. Alé. 
Non ti ho mai parlato di me così apertamente, caro lettore, e non credo lo farò di nuovo o comunque lo farò molto molto raramente. Oggi tuttavia ero troppo malinconica per non scrivere qualcosa del genere. 
Il tempo è una terribile chimera creata dall'uomo che ci rincorre e ci graffia i polpacci. Crediamo di correre perché ci piace sentire il vento accarezzarci il viso, ma in realtà scappiamo da una fiera che abbiamo creato noi stessi. A volte però incontriamo sul nostro percorso pietre che ci sembrano familiari, ascoltiamo cinguettii che ci pare di aver già udito o sentiamo l'odore dell'erba nuova che ci ricorda il profumo di quella vecchia: allora ci voltiamo per ritrovare con lo sguardo, l'udito, l'olfatto, antiche sensazioni, ma non troviamo altro che la scia di sangue che le ferite causateci dal tempo stanno lasciando. Non possiamo vincere il tempo, ma lui un giorno è destinato a vincere noi...
Oggi ti lascio con una canzone e un film, "Aftermath" dei Muse e "L'arte della felicità". Se hai letto questo post e ti va, fammi sapere che ne pensi.
Buonanotte.

domenica 3 luglio 2016

Storia di un'anima. Capitolo Uno

03.07.2016

Opalite

Questa è la storia di un'ombra arancione. Non so dirvi se sia felice o triste, come storia, poiché, nel momento in cui scrivo, ancora non è finita.
Non è sempre stata un'ombra arancione. All'inizio di questa storia, era una piccola e bellissima luce bianca, capace di tutto, piena di potenzialità, satura di possibilità. Era lei stessa Possibilità: la sua natura bianca le permetteva di avere dentro di sé tutti i colori dell'arcobaleno e molti altri ancora, colori mai visti, colori che noi umani non possiamo nemmeno immaginare. Possibilità (la chiameremo così, anche se in realtà non aveva un nome) nacque da una nuvola di zucchero filato nera e da un rosso cuore pulsante. Era così piccola e fragile che pareva poter essere spezzata da un alito di vento, una cosina così preziosa! Possibilità era bellissima, tanto bella da sembrare unica: come può una creatura tanto angelica avere anche una sola copia? Eppure, in realtà, attorno a lei c'erano mille altre Possibilità identiche in tutto e per tutto, che brillavano della sua stessa stupenda bianca luce. Il mondo era illuminato da migliaia e migliaia di candidi lumi e chiunque ne concepisse uno viveva per un attimo l'illusione di avere qualcosa di unico e speciale tutto per sé. Ben presto però il miraggio svaniva e tutti i disillusi iniziavano a boccheggiare, naufraghi in un mare di caos e incertezza: una vita a cercare di ottenere qualcosa di unico tutto loro, per poi avere tra le mani una banalissima pallida possibilità. Poi, l'illuminazione: perché accontentarsi di una comunissima perfetta bianca luce, quando la si poteva deturpare ottenendo un qualcosa di diverso, imperfetto e, soprattutto, unico? Con estremo egoismo, solo per avere qualcosa di esclusivo, tutti i vari genitori iniziarono a rovinare le loro Possibilità, allevandole nel segno dell'imperfezione. Cuore Vermiglio e Zucchero di Pece non facevano eccezione: iniziarono a strofinare la loro splendida luce con stracci sporchi e spugne ispide, che chiamavano "affetto" ed "educazione". Possibilità cominciò a crescere e a mostrare una sfumatura azzurra. Quanta gioia in famiglia, una figlia azzurra! Ma di Possibilità azzurrine era pieno il mondo, era arrivato il momento di calcare la mano. Tutti gli stracci e le spugne della Terra non sarebbero bastati a rovin-... a rendere unica Possibilità, la sua natura banalmente perfetta resisteva a questi blandi stratagemmi.
Odio era una coperta lunga come il cielo e scura come le tenebre. Anche Amore era una coperta lunga come il cielo, ma questa era abbagliante come il Sole. Mille stracci non avrebbero cambiato Possibilità come un tocco d'Odio, mille spugne non l'avrebbero sconvolta come una carezza d'Amore. Questo perché Odio e Amore erano i veri genitori di tutti gli abitanti della Terra, di tutte le neonate luci; il loro eterno contrasto, la loro insolvibile duplicità, creava la vita. Odio e Amore erano genitori all'ennesima potenza e, in quanto tali, erano pronti a tutto pur di avere figli unici e tutti diversi, anche a sconvolgerli, distruggerli, ucciderli.
Cuore Vermiglio e Zucchero di Pece avevano da poco dato vita ad un'altra Possibilità, che, dopo tre anni di limatura, assunse una sfumatura rosa shocking e una giallastra. Odio intervenne: una notte si posò sui quattro addormentati, li sfiorò con le sue lunghe frange, accolse Zucchero di Pece nel suo abbraccio e lo trascinò lontano. Dopo quella notte, tutti cambiarono: Zucchero di Pece perse il rivestimento dolce e morbido, rivelandosi una nera pietra vetrosa, Pomice di Pece; Cuore Vermiglio diventò più scuro, si accese in lui una luce nera, così da non far mancare quel colore che era stato portato lontano da Odio alle sue bambine, e la sua pelle si raggrinzì per il dolore; il rosa della seconda Possibilità si affievolì per lo spavento e la sfumatura gialla quasi svanì. E la nostra Possibilità? Lei diventò un sassolino azzurro, duro, per poter sopportare tutto il dolore inflitto da Odio, per assumersi anche quello della sorella e aiutare Cuore, diventò Opalite.

martedì 21 giugno 2016

Mulholland Drive

21.06.2016
È domani. Domani, purtroppo o per fortuna, inizierà la fine di un percorso che è durato cinque anni, cinque infiniti brevissimi anni. Ma non voglio parlare di me, caro lettore, lo sai che non mi piace. 
Ho fatto una tesina, sai? Per la fine di questo percorso. Come direbbe un mio amico, "è mediocre come tutte le cose che faccio", ma ci tengo a condividere con te una parte di questo mio elaborato, la prima, quella su "Mulholland Drive": è un film di David Lynch, il mio film preferito in assoluto. Le prime 8 pagine della mia analisi sono di riassunto del film, te le risparmio, non perché io sia gentile e amabile, ma perché adesso tu cercherai il film in streaming e te lo sorbirai tutto, quindi non ti serviranno. Ti girerò solo le interpretazioni. Ioruelcam.

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- La classica interpretazione onirica
La via di fuga privilegiata di fronte a questa vertiginosa declinazione della duplicità imbrocca normalmente la soluzione di un rapporto sogno/realtà tra i due segmenti del racconto. Interpretazione, per altro, giustificatissima anche in virtù delle cerniere figurative di un soggetto addormentato e forse sognante che aprono e chiudono la prima parte. Conosciamo inoltre l’alta considerazione di Lynch per il valore del sogno quale esperienza originaria dell’atto creativo e la parentela più volte rimarcata dal regista tra scrittura cinematografica e dimensione onirica: ha infatti pubblicamente dichiarato nel 2006 di essere un adepto della meditazione trascendentale da oltre trent’anni (si veda “Catching the big fish” dello stesso sulla sua esperienza). La prima parte rappresenterebbe allora un sogno  governato da una riconfigurazione desiderativa degli eventi innescata dal senso di colpa di Diane per aver commissionato l’omicidio di Camilla; la realtà sarebbe invece raffigurata nella seconda e riordinata attraverso una serie di flashback. A suggerire questa possibilità contribuisce la logica oscura con cui numerosi elementi testuali (nomi, personaggi, situazioni, luoghi, dati biografici...) si riaffacciano, nel segno della ripetizione differente, dalla prima alla seconda parte, in presenza di un significativo cambiamento di tono che non lascerebbe dubbi sul maggiore realismo della seconda. Il sogno emerge dunque come strategia di traduzione e riscrittura in positivo delle frustrazioni di Diane, attrice mediocre e amante rifiutata. Il sogno è il suo nuovo inizio, in cui tutto è perfetto e lei ottiene la sua vendetta su coloro che hanno minato alla sua felicità nella realtà (si veda la sfortuna di Adam, ad esempio); nella vita vera, invece, è segnata al contrario la fine di tutto e di tutti, tanto di Camilla quanto di Diane. Andrea Piccardi in “Il tempo di un sogno” riassume allora così:
“Una giovane donna di nome Diane, arrivata ad Hollywood per tentare la carriera di attrice, si innamora di Camilla, che ha più fortuna di lei nell’ambiente e che in un primo momento la ricambia; quando poi quest’ultima si mette con un giovane regista di grido e ha tutta l’aria di volerla scaricare, Diane, in preda alla gelosia e alla disperazione furibonde, assolda un killer per ucciderla; a omicidio compiuto, travolta dal senso di colpa e dalla condizione di essere già una fallita, “bruciata”, dopo un lungo sogno in cui ha rivissuto la storia con Camilla in un trionfo di sostituzioni, condensazioni, transfert e qualcosa d’altro, incalzata dai suoi fantasmi si uccide”
Ne deriva la seguente fabula:
1. Varie coppie di giovani ballerini ballano in jitterbug;
2. Set del tournage del film, Camilla e Adam si baciano sotto gli occhi di Diane;
3. Camilla lascia Diane;
4. Diane va alla festa di Adam e Camilla, loro annunciano il matrimonio;
5. Diane assolda Joe per uccidere Camilla;
6. Sogno;
7. Al suo risveglio, Diane parla con la vicina di casa. La chiave blu sul tavolino rivela che l’assassinio è stato effettuato;
8. Diane vede Camilla in cucina, ma è solo un’allucinazione;
9. Diane, disperat, cade in preda a nuove allucinazioni e si suicida.
Accettando questa interpretazione diventa interessante anche notare il modello di Lynch, ossia il racconto fantastico, il classico film d’avventura onirica e, in particolare, "Il mago di Oz” di Fleming. Al di là di una serie di citazioni (scarpette rosse, sonno tra i cespugli, simili riprese...), il film di Victor Fleming offre l’impianto generale di una classica vicenda tra mondi, che Lynch passa poi a decostruire: ne “Il mago di Oz” è ben separato il sogno dalla realtà, quello di Dorothy è il “viaggio dell’eroe”, un percorso formativo con morale e ritorno a casa. In “Mulholland Drive” proprio no, l’ordine si distrugge, la chiarezza si perde e della morale non v’è traccia. In particolare, Lynch sfigura il ritmo tripartito realtà/sogno/realtà aperto e chiuso dall’oggettività per sostituirlo con una struttura duale e incerta, compromettendo al tempo stesso la riconoscibilità del genere.
Tutto torna meravigliosamente al proprio posto, persino le scene più assurde della prima parte si comprendono nell’ottica del delirio folle di una Diane ormai impazzita, prossima al suicidio. Tutto è ancora più chiaro se confrontato con la teoria onirica di Sigmund Freud: nei nostri sogni realizziamo desideri, il lavoro onirico è presente quando “un pensiero espresso all’ottativo viene sostituito da una rappresentazione al presente” ("Il sogno e la sua interpretazione", S. Freud).
Sin troppo facile...
“Ricostruire banalmente la fabula, derealizzando tutto quello che lo spettatore ha visto per la prima metà del film, significa non comprendere affatto come quel (contro)sogno sia un percorso di salvezza simbolica (una redenzione da compiere idealmente con l’amata) che ha il potere posizionale di reinterpretare e risemantizzare la propria archeologia esistenziale”
Pierluigi Basso Fossali, “L’interpretazione tra mondi”
Secondo alcune eminenti opinioni, tra cui quella dell’autore del libro a cui mi rifaccio per questo studio, “David Lynch. “Mulholland Drive””, Luca Malvasi,
“L’ipotesi del sogno, in effetti – almeno in una sua versione “light” – è quella che, più di ogni altra, “monodimensionalizza” la partitura irregolare di “Mulholland Drive””“La popolarità di questo modello interpretativo è più che comprensibile (soprattutto da parte dei detrattori del regista o dello spettatore preoccupato di “non averci capito niente” [riferimento a Marangi in “Oltre Twin Peaks” e a “David Lynch”, A.A.V.V]), ma nel momento in cui si assume la scansione sogno/realtà come unico principio distintivo, non soltanto si attenta – come detto – alla complessa stratificazione del film e alla ua temporalità volutamente “impressiva” e decronologizzata, ma si finisce per isolare “Mulholland Drive” rispetto ai precedenti [...] Lynch ci ha piuttosto abituati a mondi dreamlike”.
Nonostante quella del sogno mi sembri la possibilità più logica e accettabile, addentriamoci in altre possibili interpretazioni.
- “Mulholland Drive”: un dramma strutturale, una storia di fantasmi
Per Olivier Joyard e Jean-Mark Lalann dei “Cahiers du cinéma”, questo film è soprattutto un “dramma strutturale”, in cui all’ultima inquadratura potrebbe tranquillamente seguire la prima, poiché il film sembra poggiare su una struttura circolare, ad anello. Ci potremmo trovare allora di fronte ad una storia di fantasmi in cui i personaggi incontrano se stessi, persino i propri cadaveri. Di qui la lettura di Hervé Aubron in “”Mulholland Drive” di David Lynch” - che in realtà contro questa deriva new age si scaglia sin da subito – che rimanda ad una dimensione popolata di esseri immateriali; chiama i fantasmi “anime”, la trasmigrazione “metempsicosi” e rimanda il significato del film alla celebrazione del conflitto tra materiale e immateriale, spiriti-membrane e corpi-immagine, reale e virtuale.
Ritengo che sia innegabile il tema del conflitto realtà/apparenza all’interno del film e l’ipotesi dei “fantasmi” o delle “anime”, concilia benissimo anche con l’intento originario di farne una serie televisiva.
- L’abbandono all’indecifrabilità
Alcuni critici superano il problema della dualità semplicemente non affrontandolo e leggendo il film in un continuum spazio-temporale.
Fanno parte di questa tendenza anche gli atti di rinuncia: il film appare come inutilmente penetrabile, è quindi necessario abbandonarsi ad esso, amarlo o detestarlo in blocco, senza mezze misure. “Mulholland Drive” non ha e non vuole avere senso. Probabile sia il delirio di un regista matto o sotto stupefacienti.
Inutile dire che non apprezzo particolarmente questa interpretazione. Piuttosto che quella onirica, credo sia questa la via più comune tra gli spettatori preoccupati di “non averci capito nulla”. Tuttavia, leggere in questo modo il film permette di goderselo appieno e di apprezzare fino in fondo quel sapore di scomodità e disagio che “Mulholland Drive” ti sa donare.
- La tragedia di Hollywood
Martha P. Nochimson ci offre piuttosto un’interpretazione valida in ““All I Need is The Girl”: The Life and Death of Creativity in “Mulholland Drive””, nel quale il personaggio di Naomi Watts e la sua progressiva decadenza vengono assunte come emblema della disgregazione dell’industria hollywoodiana. Secondo la Nochimson, il film conterrebbe al suo interno una specie di conflitto incontrollabile tra i desideri dell’autore (Lynch o forse, meglio, i suoi simulacri enunciazionali) e la forza distruttrice di Mr. Roque, il Mangiafuoco di tutta la vicenda. Nel quadro di una continuità narrativa, Diane non è un’altra rispetto a Betty, ma ne rappresenta una specie di “resto”, incarnando la rovina della seconda una volta vinta dalle macchinazioni di Mr. Roque. Non a caso Mr. Roque è assente nella seconda parte, il suo intervento sarebbe inutile, la sua missione è già stata compiuta. Betty vuole diventare “great actress”, ma anche “movie star” (“but sometimes people end up being both and that is”, spiega a Rita). Dal Canada è giunta fino ad Hollywood per dare corpo ad un sogno adolescenziale, che si materializza, appena entrata in casa di zia Ruth, proprio attraverso Rita, che incarna, letteralmente, il cinema, rubando persino il nome alla Hayworth, Rita è l’immagine di un corpo posseduto dal cinema e Betty si innamora di lei proprio per questo.
Lynch metterebbe dunque in scena il conflitto tra la sconfitta e la speranza nel quadro della putrefazione (letteralmente, si pensi al barbone o al corpo che trovano Betty e Rita nel 17) del processo creativo all’interno dell’industria del cinema americano.
- La fine di un inizio

Questa interpretazione è forse la tesi sostenuta con più sicurezza da Luca Malvasi nel suo libro. Secondo questa possibilità, primo e secondo frammento non sono altro che la prima e l’ultima puntata della serie-tv che sarebbe dovuta nascere. Il primo frammento infatti è un “doppio inizio”: Betty comincia una nuova vita ad Hollywood, una nuova casa, una nuova carriera, una nuova amica e quindi una nuova amante; Rita è costretta a (ri)cominciare tutto da capo, a partire dal nome, a causa dell’incidente, un po’ come il Mattia Pascal di Pirandello. Il secondo frammento è invece una “doppia fine”, per cui si concludono bruscamente le vite delle due ragazze. Camilla e Diane potrebbero allora essere evoluzioni di Rita e Betty così come altri personaggi (notiamo infatti nei titoli di coda che Naomi Watts e Laura Harring sono citate due volte in due momenti diversi per i diversi personaggi che interpretano). A noi spettatori manca allora tutta la parte in mezzo che colleghi i due segmenti. La frattura si impone come principio costitutivo del rapporto tra le parti del film.
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Spero di esserti stata utile. Come dicevo all'inizio, il mio lavoro è "mediocre come al solito", ma non so cosa avrei dato io per un sunto del genere la prima volta che vidi "Mulholland Drive". Se cerchi qualcosa di più approfondito, leggi il libro di Luca Malvasi che ti ho citato: è stato manna dal cielo per il mio lavoro.
Grazie Luca.
Grazie Alex.

martedì 23 febbraio 2016

De fide -I'm all about that trust-

23/02/2016
Sono mesi che non scrivo, tre per la precisione. Il 20 novembre 2015 e il 23 febbraio 2016 hanno, pur essendo molto distanti, qualcosa in comune che li avvicina: la recente perdita di qualcuno di importante nella mia vita, fresca di 5 giorni nel primo caso, di 3 in questo. Il vuoto allo stomaco che sento a causa di quest'ultima esperienza mi porta -ohibò, che novità!- a riflettere: penso a tante (troppe) cose, ma quella che vorrei condividere con voi riguarda la fiducia. Sento tante volte dire "la prima cosa in un rapporto è la fiducia, manca quella, crolla tutto", ditemi che non sono l'unica, che non sento le voci. Sarà perché, fino ad oggi, la consideravo un qualcosa di piuttosto ovvio in una relazione, ma non ho mai dato troppa importanza a questa affermazione. Dicevo, fino ad oggi: ho allontanato la persona che ho perso per vari motivi, ma, dopo lunghissime riflessioni, ho capito che una delle ragioni principali era la mancanza di fiducia nei suoi confronti. 
Ma cos'è la fiducia?
Fides, fidei, sostantivo femminile, V declinazione. Questa l'etimologia del termine che ho intenzione di affrontare oggi. Per comprenderlo appieno può essere però utile fare un altro passo indietro: scavando in fides, troviamo foedus, foederis, sostantivo neutro, III declinazione; il foedus è un patto, o, per meglio dire, un contratto, inizialmente ha valenza giuridico-politica infatti, ma poi verrà utilizzato nella letteratura latina in svariati contesti, così dall'iniziale freddo significato di "trattato, convenzione, alleanza", assume quello di "legame, vincolo, accordo da privati". Mi viene in mente Catullo, il tema del patto d'amore è centrale nella sua poetica: innamorato di Lesbia, impazzisce di rabbia e muore di dolore ogni qual volta vede il loro segreto accordo non scritto di reciproco amore infranto dalla donna. Il foedus nelle sue poesie è un patto sacro tra privati di reciproco affetto, di reciproca fedeltà, è amore. Tradire il patto è tradire l'amore stesso, umiliare, distruggere l'amore... Torniamo allora a fides dopo questa breve parentesi sul foedus, ma prima alcuni versi del poeta citato, che personalmente apprezzo moltissimo:
“Miser Catulle, desinas ineptire,
et quod vides perisse perditum ducas.
fulsere quondam candidi tibi soles,
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
ibi illa multa cum iocosa fiebant,
quae tu volebas nec puella nolebat,
fulsere vere candidi tibi soles.
nunc iam illa non vult: tu quoque impotens noli,
nec quae fugit sectare, nec miser vive,
sed obstinata mente perfer, obdura.
vale puella, iam Catullus obdurat,
nec te requiret nec rogabit invitam.
at tu dolebis, cum rogaberis nulla.
scelesta, vae te, quae tibi manet vita?
quis nunc te adibit? cui videberis bella?
quem nunc amabis? cuius esse diceris?
quem basiabis? cui labella mordebis?
at tu, Catulle, destinatus obdura.”
  [Traduzione: “Povero Catullo, smetti di vaneggiare, e ciò che vedi essere perso, consideralo perduto. Brillarono un tempo per te soli splendenti, quando venivi più volte dove la ragazza ti conduceva, la ragazza amata da noi quanto nessuna sarà amata. Un tempo là accadevano quei molti continui giochi d’amore che tu volevi, e lei non rifiutava. Brillarono davvero per te soli splendenti. Ora ormai lei non vuole più: anche tu, non padrone di te, non volere. E non inseguire colei che fugge, e non vivere infelice, ma con animo risoluto resisti, tieni duro. Addio, ragazza. Alla fine Catullo tiene duro, e non ti cercherà, e non pregherà te che non lo vuoi, ma tu soffrirai, quando non sarai più pregata. Sciagurata, guai a te! Che vita ti rimane? Chi ora si avvicinerà a te? A chi sembrerai bella? Chi ora amerai? Di chi si dirà che sei? Chi bacerai? A chi morderai le labbra? Ma tu, Catullo, risoluto tieni duro.”. La traduzione non è mia, ma presa da "Omnes Litterae".  A prima vista, mi sembra abbastanza letterale. Il carme è l'VIII, l'ho scelto perché attinente al nostro tema, ma se vi è piaciuto, cercate il V, è ancora più bello se possibile.]

La fides è uno dei valori fondamentali della cultura latina. Gli antichi romani avevano un elenco di "virtus" importanti da seguire in ogni circostanza. Non erano vere e proprie leggi, ma era chiaro che dovessero essere attese. Tale "lista" era il cosiddetto "mos maiorum", il costume degli avi, il nucleo della moralità latina. Ecco cosa dice la cara vecchia Wiki sulla fides:
   
La parola latina fides ha molti significati; comunque, questi sono tutti basati su principi simili: verità, fede, onestà e affidabilità. Può essere vista in uso con altre parole per creare termini come bonze fidei o fidem habere. Nel diritto romano, il concetto di fides rivestì un ruolo importante. Come in tutte le culture antiche, i contratti verbali erano molto comuni nella vita quotidiana romana, e così la buona fede permetteva transazioni commerciali fatte con maggior fiducia. La fides si riscontra anche nel rapporto tra patronus ecliens, tra coniugi, ecc. Se questa buona fede viene tradita, la persona offesa potrebbe intentare una causa contro l'altra che l'ha tradita.
Come dea romana, Fides rappresentava un culto molto antico. Il primo tempio in suo onore risalirebbe a Numa Pompilio, edificato nella città di Roma. Era la dea della buona fede e presiedeva ai contratti verbali. Venne descritta come una donna anziana, ritenuta più vecchia di Giove. Il suo tempio è datato intorno al 254 a.C. e si trova sul colle Capitolino di Roma, vicino al Tempio di Giove. Livio si insinua nei dettagli del culto di Fides e nella sua storia di Roma. I suoi rituali venivano praticati dai flamines maiores, i sacerdoti più importanti, dopo il Pontefice, degli antenati. Questi sacerdoti hanno proposto, nel luogo della celebrazione, la creazione del santuario di Fides in un carro coperto, trainato da una coppia di cavalli. Dal momento che si assumeva che la Fides abitasse nella mano destra di un uomo, essa venne rappresentata, durante il periodo storico dell'Impero Romano, su monete con un paio di mani coperte, a simboleggiare la credibilità delle legioni e dell'imperatore. La copertura delle mani riflette il culto di Fides, in cui l'uomo esegue il sacrificio di coprire le sue mani con le dita per preservare la buona fede religiosa.

Insomma, la fiducia è sacra. 
In questi giorni si parla tanto di unioni civili, si discute, si dibatte... Forse il matrimonio non è che un pezzo di carta. La Lesbia di Catullo era, probabilmente, una donna sposata, eppure era anche unita da un vincolo molto più importante al poeta, legata a lui da un foedus, da un patto sacro. Non c'è Chiesa e non c'è legge che potranno impedire agli esseri umani di elevarsi verso il divino promettendosi a vicenda. Ma è altrettanto vero che non c'è Chiesa e non c'è legge che potranno impedire agli esseri umani di abbassarsi al livello delle peggiori bestie qualora decidano di infrangere tale patto. Tradire la fiducia di una persona significa fare un affronto a tutto ciò che c'è di più alto e onnipotente. Caro lettore, se qualcuno ti dona il suo cuore, non dimenticare che hai tra le mani ciò che quel qualcuno ha di vitale e dietro le spalle un Catullo adirato pronto a sputarti addosso le peggio sentenze:

“O furum optime balneariorum
Vibenni pater et cinaede fili
(nam dextra pater inquinatiore,
culo filius est voraciore),
cur non exilium malasque in oras
itis? quandoquidem patris rapinae
notae sunt populo, et natis pilosas,
fili, non potes asse venditare.”
 
[Traduzione: “O Vibennio padre ,il più abile dei ladri di bagni e figlio effemminato (infatti il padre ha la destra più insozzata , il figlio il sedere più avido), perchè non andate in esilio e a quel paese? Poichè i furti del padre sono noti al popolo, tu , o figlio, non puoi mettere in vendita per un soldo le natiche pelose.”. Carme XXXIII, anche in questo caso la traduzione non è mia.]

Buona notte,
LOH

Ps. Sono le 23, pubblico senza neanche rileggere. Avevo bisogno di scrivere questo post. Mi scuso se confuso, ma sono stanca, triste e arrabbiata. Grazie dell'attenzione, caro lettore.