È domani. Domani, purtroppo o per fortuna, inizierà la fine di un percorso che è durato cinque anni, cinque infiniti brevissimi anni. Ma non voglio parlare di me, caro lettore, lo sai che non mi piace.
Ho fatto una tesina, sai? Per la fine di questo percorso. Come direbbe un mio amico, "è mediocre come tutte le cose che faccio", ma ci tengo a condividere con te una parte di questo mio elaborato, la prima, quella su "Mulholland Drive": è un film di David Lynch, il mio film preferito in assoluto. Le prime 8 pagine della mia analisi sono di riassunto del film, te le risparmio, non perché io sia gentile e amabile, ma perché adesso tu cercherai il film in streaming e te lo sorbirai tutto, quindi non ti serviranno. Ti girerò solo le interpretazioni. Ioruelcam.
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- La classica interpretazione onirica
La via di fuga privilegiata di fronte a
questa vertiginosa declinazione della duplicità imbrocca normalmente la
soluzione di un rapporto sogno/realtà tra i due segmenti del racconto.
Interpretazione, per altro, giustificatissima anche in virtù delle cerniere
figurative di un soggetto addormentato e forse sognante che aprono e chiudono
la prima parte. Conosciamo inoltre l’alta considerazione di Lynch per
il valore del sogno quale esperienza originaria dell’atto creativo e la
parentela più volte rimarcata dal regista tra scrittura cinematografica e
dimensione onirica: ha infatti pubblicamente dichiarato nel 2006 di essere un
adepto della meditazione trascendentale da oltre trent’anni (si veda “Catching
the big fish” dello stesso sulla sua esperienza). La prima parte
rappresenterebbe allora un sogno
governato da una riconfigurazione desiderativa degli eventi innescata
dal senso di colpa di Diane per aver commissionato l’omicidio di Camilla; la
realtà sarebbe invece raffigurata nella seconda e riordinata attraverso una
serie di flashback. A suggerire questa possibilità contribuisce la logica
oscura con cui numerosi elementi testuali (nomi, personaggi, situazioni,
luoghi, dati biografici...) si riaffacciano, nel segno della ripetizione
differente, dalla prima alla seconda parte, in presenza di un significativo
cambiamento di tono che non lascerebbe dubbi sul maggiore realismo della
seconda. Il sogno emerge dunque come strategia di traduzione e riscrittura in
positivo delle frustrazioni di Diane, attrice mediocre e amante rifiutata. Il
sogno è il suo nuovo inizio, in cui tutto è perfetto e lei ottiene la sua
vendetta su coloro che hanno minato alla sua felicità nella realtà (si veda la
sfortuna di Adam, ad esempio); nella vita vera, invece, è segnata al contrario
la fine di tutto e di tutti, tanto di Camilla quanto di Diane. Andrea Piccardi
in “Il tempo di un sogno” riassume allora così:
“Una giovane donna di nome Diane, arrivata ad Hollywood per tentare la carriera di attrice, si innamora di Camilla, che ha più fortuna di lei nell’ambiente e che in un primo momento la ricambia; quando poi quest’ultima si mette con un giovane regista di grido e ha tutta l’aria di volerla scaricare, Diane, in preda alla gelosia e alla disperazione furibonde, assolda un killer per ucciderla; a omicidio compiuto, travolta dal senso di colpa e dalla condizione di essere già una fallita, “bruciata”, dopo un lungo sogno in cui ha rivissuto la storia con Camilla in un trionfo di sostituzioni, condensazioni, transfert e qualcosa d’altro, incalzata dai suoi fantasmi si uccide”
Ne deriva
la seguente fabula:
1. Varie coppie di
giovani ballerini ballano in jitterbug;
2. Set del tournage
del film, Camilla e Adam si baciano sotto gli occhi di Diane;
3. Camilla lascia
Diane;
4. Diane va alla festa
di Adam e Camilla, loro annunciano il matrimonio;
5. Diane assolda
Joe per uccidere Camilla;
6. Sogno;
7. Al suo
risveglio, Diane parla con la vicina di casa. La chiave blu sul tavolino rivela
che l’assassinio è stato effettuato;
8. Diane vede
Camilla in cucina, ma è solo un’allucinazione;
9.
Diane, disperat, cade in preda a nuove allucinazioni e si suicida.
Accettando
questa interpretazione diventa interessante anche notare il modello di Lynch,
ossia il racconto fantastico, il classico film d’avventura onirica e, in
particolare, "Il mago di Oz” di Fleming. Al di là di una serie di
citazioni (scarpette rosse, sonno tra i cespugli, simili riprese...), il film
di Victor Fleming offre l’impianto generale di una classica vicenda tra mondi,
che Lynch passa poi a decostruire: ne “Il mago di Oz” è ben separato il sogno
dalla realtà, quello di Dorothy è il “viaggio dell’eroe”, un percorso formativo
con morale e ritorno a casa. In “Mulholland Drive” proprio no, l’ordine si
distrugge, la chiarezza si perde e della morale non v’è traccia. In
particolare, Lynch sfigura il ritmo tripartito realtà/sogno/realtà aperto e
chiuso dall’oggettività per sostituirlo con una struttura duale e incerta,
compromettendo al tempo stesso la riconoscibilità del genere.
Tutto torna meravigliosamente al proprio posto, persino le scene più
assurde della prima parte si comprendono nell’ottica del delirio folle di una
Diane ormai impazzita, prossima al suicidio. Tutto è ancora più chiaro se
confrontato con la teoria onirica di Sigmund Freud: nei nostri sogni realizziamo desideri, il lavoro onirico
è presente quando “un pensiero espresso all’ottativo viene sostituito da una
rappresentazione al presente” ("Il sogno e la sua interpretazione", S. Freud).
Sin troppo facile...
“Ricostruire banalmente la fabula, derealizzando tutto quello che lo spettatore ha visto per la prima metà del film, significa non comprendere affatto come quel (contro)sogno sia un percorso di salvezza simbolica (una redenzione da compiere idealmente con l’amata) che ha il potere posizionale di reinterpretare e risemantizzare la propria archeologia esistenziale”
Pierluigi Basso Fossali, “L’interpretazione tra mondi”
Secondo alcune eminenti opinioni, tra cui quella
dell’autore del libro a cui mi rifaccio per questo studio, “David Lynch.
“Mulholland Drive””, Luca Malvasi,
“L’ipotesi del sogno, in effetti – almeno in una sua versione “light” – è quella che, più di ogni altra, “monodimensionalizza” la partitura irregolare di “Mulholland Drive””“La popolarità di questo modello interpretativo è più che comprensibile (soprattutto da parte dei detrattori del regista o dello spettatore preoccupato di “non averci capito niente” [riferimento a Marangi in “Oltre Twin Peaks” e a “David Lynch”, A.A.V.V]), ma nel momento in cui si assume la scansione sogno/realtà come unico principio distintivo, non soltanto si attenta – come detto – alla complessa stratificazione del film e alla ua temporalità volutamente “impressiva” e decronologizzata, ma si finisce per isolare “Mulholland Drive” rispetto ai precedenti [...] Lynch ci ha piuttosto abituati a mondi dreamlike”.
Nonostante quella del sogno mi sembri la
possibilità più logica e accettabile, addentriamoci in altre possibili
interpretazioni.
- “Mulholland Drive”: un dramma strutturale, una
storia di fantasmi
Per Olivier Joyard e Jean-Mark Lalann dei “Cahiers du cinéma”, questo
film è soprattutto un “dramma strutturale”, in cui all’ultima inquadratura
potrebbe tranquillamente seguire la prima, poiché il film sembra poggiare su
una struttura circolare, ad anello. Ci potremmo trovare allora di fronte ad una
storia di fantasmi in cui i personaggi incontrano se stessi, persino i propri
cadaveri. Di qui la lettura di Hervé Aubron in “”Mulholland Drive” di David Lynch”
- che in realtà contro questa deriva new age si scaglia sin da subito – che
rimanda ad una dimensione popolata di esseri immateriali; chiama i fantasmi
“anime”, la trasmigrazione “metempsicosi” e rimanda il significato del film
alla celebrazione del conflitto tra materiale e immateriale, spiriti-membrane e
corpi-immagine, reale e virtuale.
Ritengo che sia innegabile il tema del conflitto
realtà/apparenza all’interno del film e l’ipotesi dei “fantasmi” o delle
“anime”, concilia benissimo anche con l’intento originario di farne una serie
televisiva.
- L’abbandono all’indecifrabilità
Alcuni critici superano il problema della dualità semplicemente non
affrontandolo e leggendo il film in un continuum spazio-temporale.
Fanno parte di questa tendenza anche gli atti di rinuncia: il film
appare come inutilmente penetrabile, è quindi necessario abbandonarsi ad esso,
amarlo o detestarlo in blocco, senza mezze misure. “Mulholland Drive” non ha e
non vuole avere senso. Probabile sia il delirio di un regista matto o sotto
stupefacienti.
Inutile dire che non apprezzo particolarmente
questa interpretazione. Piuttosto che quella onirica, credo sia questa la via
più comune tra gli spettatori preoccupati di “non averci capito nulla”.
Tuttavia, leggere in questo modo il film permette di goderselo appieno e di
apprezzare fino in fondo quel sapore di scomodità e disagio che “Mulholland
Drive” ti sa donare.
- La tragedia di Hollywood
Martha P. Nochimson ci offre piuttosto un’interpretazione valida in
““All I Need is The Girl”: The Life and Death of Creativity in “Mulholland
Drive””, nel quale il personaggio di Naomi Watts e la sua progressiva decadenza
vengono assunte come emblema della disgregazione dell’industria hollywoodiana.
Secondo la Nochimson, il film conterrebbe al suo interno una specie di
conflitto incontrollabile tra i desideri dell’autore (Lynch o forse, meglio, i
suoi simulacri enunciazionali) e la forza distruttrice di Mr. Roque, il
Mangiafuoco di tutta la vicenda. Nel quadro di una continuità narrativa, Diane
non è un’altra rispetto a Betty, ma ne rappresenta una specie di “resto”,
incarnando la rovina della seconda una volta vinta dalle macchinazioni di Mr.
Roque. Non a caso Mr. Roque è assente nella
seconda parte, il suo intervento sarebbe inutile, la sua missione è già stata
compiuta. Betty vuole diventare “great actress”, ma anche “movie star” (“but
sometimes people end up being both and that is”, spiega a Rita). Dal Canada è
giunta fino ad Hollywood per dare corpo ad un sogno adolescenziale, che si
materializza, appena entrata in casa di zia Ruth, proprio attraverso Rita, che
incarna, letteralmente, il cinema, rubando persino il nome alla Hayworth, Rita
è l’immagine di un corpo posseduto dal cinema e Betty si innamora di lei
proprio per questo.
Lynch metterebbe dunque in scena il conflitto
tra la sconfitta e la speranza nel quadro della putrefazione (letteralmente, si
pensi al barbone o al corpo che trovano Betty e Rita nel 17) del processo creativo all’interno
dell’industria del cinema americano.
- La fine di un inizio
Questa interpretazione è forse la tesi sostenuta
con più sicurezza da Luca Malvasi nel suo libro. Secondo questa possibilità,
primo e secondo frammento non sono altro che la prima e l’ultima puntata della
serie-tv che sarebbe dovuta nascere. Il primo frammento infatti è un “doppio
inizio”: Betty comincia una nuova vita ad Hollywood, una nuova casa, una nuova
carriera, una nuova amica e quindi una nuova amante; Rita è costretta a
(ri)cominciare tutto da capo, a partire dal nome, a causa dell’incidente, un
po’ come il Mattia Pascal di Pirandello. Il secondo frammento
è invece una “doppia fine”, per cui si concludono bruscamente le vite delle due
ragazze. Camilla e Diane potrebbero allora essere evoluzioni di Rita e Betty
così come altri personaggi (notiamo infatti nei titoli di coda che Naomi Watts
e Laura Harring sono citate due volte in due momenti diversi per i diversi
personaggi che interpretano). A noi spettatori manca allora tutta la parte in
mezzo che colleghi i due segmenti. La frattura si impone come principio
costitutivo del rapporto tra le parti del film.
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Spero di esserti stata utile. Come dicevo all'inizio, il mio lavoro è "mediocre come al solito", ma non so cosa avrei dato io per un sunto del genere la prima volta che vidi "Mulholland Drive". Se cerchi qualcosa di più approfondito, leggi il libro di Luca Malvasi che ti ho citato: è stato manna dal cielo per il mio lavoro.
Grazie Luca.
Grazie Alex.
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